Lo storico Yuval Noah Harari, nel suo approfondito libro “Sapiens. Da animali a dèi” (ne consigliamo vivamente la lettura), ci racconta che la vera differenza tra noi e gli scimpanzé è il collante dei miti. I miti hanno conferito ai Sapiens la capacità, senza precedenti, di cooperare in maniera flessibile e in comunità formate da moltissimi individui. Ciò ha reso i Sapiens l’unica specie umana giunta fino ai giorni nostri.

Affrontare qualunque cambiamento richiede innanzitutto questa consapevolezza. Così, forse, possiamo comprendere perché a volte sia tanto difficile cambiare !!

A tal proposito Harari ci offre spunti di riflessione e chiavi di lettura: «Quello che stentiamo a capire è che le nostre moderne istituzioni funzionano esattamente sugli stessi presupposti. I moderni uomini d’affari e avvocati sono, in realtà, potenti stregoni contemporanei. Poiché la cooperazione umana su vasta scala si basa su miti, il modo in cui gli individui cooperano può venire alterato attraverso un avvicendamento dei miti. Per quanto se ne sa, i cambiamenti nei modelli sociali, l’invenzione di nuove tecnologie e l’insediamento in habitat sconosciuti furono l’esito non tanto di iniziative culturali, ma di mutazioni genetiche e di esigenze ambientali. Tutte queste reti di cooperazione, dalle città dell’antica Mesopotamia agli imperi come quello cinese o romano, si fondavano su un’idea di ordine immaginario costituito. Le norme sociali che le sostenevano non si basavano né su istinti radicati né su relazioni personali, ma su un comune credo in miti condivisi».

Per le organizzazioni e le aziende cambiare è praticamente un obbligo per poter continuare a esistere e a sopravvivere in un ambiente che è sempre stato e lo sarà sempre di più in continua trasformazione. Oggi, però, la velocità con cui l’ambiente che ci circonda (in generale) ed i mercati in cui operano le nostre aziende (in particolare) cambiano è sempre crescente: una accelerazione degna di una Formula 1.

In questo iper spazio competitivo, se ascoltiamo la voce dei protagonisti, siano essi imprenditori o manager, tutti vogliono cambiare o hanno compreso l’importanza del cambiamento, ma poi all’atto pratico…. i comportamenti agiti nelle aziende spesso risultano distonici, gettando nello sconforto chi, come la funzione HR, cerca disperatamente di programmare e gestire comportamenti organizzativi “coerenti” con la mission, la vision, il budget, i valori, ecc .

Le ragioni che possono ostacolare i processi di cambiamento possono essere oggettive oppure soggettive. Le prime risiedono nello specifico contesto in cui opera ogni azienda e nelle sue modalità di interazione con i mercati di riferimento; le seconde, che spesso rappresentano gli ostacoli più rilevanti, dipendono invece dalle abitudini, dagli atteggiamenti, dai comportamenti e dai modi di pensare delle persone. In due parole dai miti.

Quindi, la leadership del cambiamento può esprimersi efficacemente innanzitutto se è in grado di rinnovare il mito che fonda l’organizzazione o di proporne uno completamente diverso.

Se questa è la direzione per agire il cambiamento è altresì opportuno comprendere che cosa si intende con questo termine. Un po’ di confusione in effetti aleggia nelle nostre menti.

Un prezioso contributo viene dalla suddivisione proposta da Ronald Heifetz, Marty Linsky e Alexander Grashow, frutto della loro attività presso la John F. Kennedy School di Harvard. Per loro i cambiamenti possono infatti essere:

  • problemi tecnici;
  • sfide adattive.

Oggi siamo chiamati ad affrontare soprattutto cambiamenti adattivi e, per affrontarli, si richiede alle persone che li vivono e che li guidano/gestiscono un diverso approccio di pensiero e soprattutto nuove competenze.

Tale approccio di pensiero deve necessariamente rivolgersi verso ambiti non tradizionali per chi si occupa di organizzazione aziendale quali: le neuroscienze, la fisica quantistica e la biologia evolutiva. Discipline che offrono utili indicazioni sul funzionamento delle organizzazioni e, in particolare, sul modo di pensare e agire delle persone.

Sì, perché al centro dei processi di cambiamento ci sono le persone nei vari ruoli che esse ricoprono. Con le loro paure e le loro potenzialità. E, lo ricordiamo, con il mito o i miti attraverso i quali hanno vissuto fino a oggi.

Cambiare le abitudini e uscire dalla propria zona di comfort sono da sempre riconosciute come tra le azioni più difficili da compiere. Anche se razionalmente si accetta il cambiamento, quando ci si trova in situazioni complesse o a lavorare sotto stress è naturale tendere a replicare i “vecchi” modelli di comportamento.

Chi ricopre un ruolo di leader, per riuscire ad essere un “vero” agente del cambiamento, non deve solo innovare, a partire da sé stesso, ma gestire l’innovazione e i processi che ne sono alla base; compito che è sempre più difficile. L’innovazione, infatti, non è solo “composta” di materialità e tecnologia, ma è anche sempre più riconducibile a reti di relazioni, modelli organizzativi, persone, valori e significati, miti. Il problema è capire come gestire al meglio queste diverse dimensioni.

Ciò che è richiesto a imprenditori e manager è una metamorfosi comportamentale che si può ricondurre ad alcune specifiche “sfide”:

  • aprire la mente;
  • dedicare un po’ di tempo a fantasticare;
  • rendere l’errore un’opportunità;
  • essere curiosi e affamati;
  • essere non conformisti.

E, soprattutto, prepararsi all’inatteso. Teniamo ben presente che l’inatteso spesso ci sorprende. Il fatto è che siamo “ancorati” con grande sicurezza alle nostre teorie e alle nostre idee, e che queste, spesso, non hanno alcuna capacità di accoglienza per il nuovo. Il nuovo arriverà ma non possiamo mai prevedere il modo in cui si presenterà; pensate alla metafora del cigno nero di cui, fin dal 2007, ci parlava Nassim Nicholas Taleb.

Tutto ciò, ben consci di vivere e agire all’interno di un sistema e senza dimenticare che le organizzazioni sono a loro volta sistemi legati da miti e da tessuti invisibili di azioni interconnesse. Dato che noi stessi siamo parte di questa trama, vedere l’intero schema non è sempre facile, anche se si dispone di buone capacità sistemiche o di elicopter view. Ma è una necessità, se vogliamo interpretare correttamente i problemi e le sfide, se vogliamo trovare le soluzioni più efficaci alla sopravvivenza e allo sviluppo delle organizzazioni di cui siamo parte.

Per comprendere i problemi importanti dobbiamo quindi guardare al di là degli errori dei singoli o della cattiva sorte. Dobbiamo guardare al di là delle personalità e degli eventi. Dobbiamo guardare alle strutture sottostanti che modellano le azioni individuali e creare le condizioni in base alle quali i diversi tipi di eventi diventano probabili.

Non si tratta solo delle interrelazioni tra singole persone, che pur hanno un peso rilevante, ma anche fra variabili chiave, come la popolazione, le risorse naturali, i cambiamenti climatici, etc.

Se le cose esistono in quanto risultato di una relazione, una organizzazione similmente è il risultato di un insieme di relazioni. La loro quantità e qualità determineranno le caratteristiche dell’organizzazione e la sua capacità di sopravvivere. Dunque, bisogna comprendere come le relazioni funzionano e imparare a gestirle nel miglior modo possibile.

Ciò richiede uno stile di leadership che faciliti le iniziative sistemiche di cambiamento e sia coerente con i nuovi modelli organizzavi “agili”, abbandonando rapidamente comportamenti di tipo gerarchico basati su un approccio organizzativo top – down.

Una leadership consapevole della necessità di una progettazione collettiva e caratterizzata da una visione ampia e fortemente legata alla immaginazione. A questo tipo di progettazione, noi di Skills Management, vogliamo offrire un contributo professionale che parte dalla nostra “vision”: costruire un futuro in cui le persone abbiano approcci mentali e competenze adeguati a vivere pienamente nel contesto in cui sono inserite e per rendere competitive le organizzazioni in cui operano, rafforzandone anche il loro ruolo sociale.